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EDIFICIO V

Edificio V.a   (secc. XV-XIV a.C.)

La più antica forma insediativa attestata in quest’area è una casa in legno a forma di ferro di cavallo delle dimensioni di circa 4,75 x 8,20 m con l’entrata a sud-est costruita con pali di legno e tetto di paglia. La parte posteriore di forma ovale era scavata nella roccia per 10-15 cm. Gli scavi effettuati tra il 1993 ed il 2004 hanno recuperato frammenti di ceramiche (dolii cordonati) ed ossa di animali (bovini, caprini, ovini e suini) risalenti alla media età del bronzo. La struttura, forse da attribuire ad una figura preminente nella comunità di pastori, sorgeva in posizione panoramica sul lato meridionale del terrazzo da cui dominava con lo sguardo la valle del Raganello fino al mare. La presenza abbondante di resti di mandrie di animali ha fatto pensare che gli abitanti praticassero anche la transumanza lungo i percorsi diretti verso il Pollino. Gli indizi raccolti da quest’area consentono di non escludere la possibilità di una continuità nella frequentazione del sito a partire dal Bronzo medio che si estende a zone delle colline basse nel Bronzo recente (P.ta Rovitti) fino a comprendere i pianori a ridosso del fiume nella fase avanzata dell’età del Ferro.

(da Kleibrink …………………………………………).

Edificio V.b Casa delle tessitrici- fase 3 (sec. VIII a.C.)

La struttura, particolarmente ampia, fu edificata lungo il margine meridionale del terrazzo con orientamento est-ovest per una estensione di 26 metri di lunghezza e circa 8 di larghezza. Anche questa casa-capanna in legno aveva uno dei lati lunghi absidato, che però a differenza di quella precedente risulta essere sul lato est. Tale scelta è spiegata anche dalla presenza sul lato ovest in posizione panoramica di un altare votivo che doveva essere visibile anche da molto lontano. L’altare presenta una forma rettangolare rilevata di soli 10 cm sul piano conglomerato roccioso ed è delimitato dallo scavo di una canalina profonda tra i 4 e gli 11 cm con margini arrotondati. Esso sorgeva all’interno di un cortile coperto cinto da un muro perimetrale con un’apertura da cui defluivano i fumi.

L’edificio presentava due ambienti interni con pavimento in ciottoli di fiume piatti con le pareti lunghe presumibilmente realizzate in terra e paglia miste ad argilla retti da paramenti di rami intrecciati, mentre l’area orientale absidata era sostenuta da una doppia fila di pali verticali tra cui erano posti pareti degli stessi materiali terrosi. Dal vano orientale si segnala la presenza di un grande telaio (lungh. m 2,0 circa) con numerose fuseruole e decine di pesi  funzionali all’attività di tessitura sacrale che si svolgeva in questa parte della struttura, oltre  a fornelli da cucina in argilla che dovevano servire per la preparazione della carne, di bevande rituali e per lavare e colorare il cuoio ed i filati di lana e lino. Sempre da quest’area provengono diversi gioielli in bronzo quali fibule (a scudo, ad arco serpeggiante, a quattro spirali,) pendagli del tipo a coppia ed a ruota, frammenti di dischi compositi, orecchini e ferma trecce.. 

(da Kleibrink …………………………………………).

Nel cortile sono stati trovati anche altri oggetti pertinenti alla filatura ed alla tessitura (fuseruole e pesi), oltre ad alcuni oggetti di ornamento in bronzo utilizzati dalle donne che vi tessevano, tra i quali un’oca in bronzo con funzione di sigillo proveniente dalla Laconia, anelli, braccialetti, falere, orecchini, perline d’ambra e bottoncini di bronzo. Da questa stessa area provengono numerosi oggetti depredati dai tombaroli negli anni “70 e poi in parte recuperati dalle collezioni Berna – Ghetty esposti oggi al Museo della Sibaritide. Tutti questi oggetti si datano alla prima metà dell’VIII secolo a.C. e sono attribuibili a donne enotrie di alto rango che qui svolgevano funzioni rituali ed un’attività di tessitura specializzata su modelli geometrici in onore di una dea che con l’ellenizzazione del santuario fu poi identificata in Athena. Tuttavia esiste la possibilità che gli stessi beni trovati fossero insieme a tessuti e ciocche di capelli delle offerte votive portate in questo edificio da donne enotrie per motivi religiosi.

La ceramica recuperata all’interno dell’Edificio Vb mostra una manifattura indigena con tipi di ceramica ad impasto, ceramica geometrica matt-painted (scodelle, attingitoi, un askos e vasi biconici), mentre più scarsi risultano i frammenti di ceramica d’importazione greca come gray ware, ceramica enotrio-euboica, ceramica corinzia geometrica.

Gli scavi Kleibrink 1991-2004 hanno evidenziato un accumulo di cenere spesso anche due metri in alcuni punti dovuto ad un probabile altare di sacrifici di animali, posto nei pressi dei pali perimetrali ovest e lungo il margine sud dell’edificio.  La composizione della cenere mista a ceramiche ed ossa e soprattutto la mancanza di microfossili di origine vegetale dimostra secondo la Kleibrink che si trattava di offerte di animali sacrificali e non della preparazione di cibi di un’abitazione domestica come pure ipotizzato da altri studiosi.

Alcune  interpretazioni  recenti  vedono  nelle prime due strutture v.a e v.b – costruite ad opera degli Enotri – degli edifici residenziali, mentre solo a partire dall’Edificio v.c il complesso avrebbe assunto carattere cultuale (Luppino, Greco, Lombardo, Guzzo). È in ogni caso certo che il sito abbia funzionato come fulcro di numerose cerimonie religiose almeno a partire dall’inizio dell’viii fino al iv sec. a.C.

Ricerche svolte dalla Kleibrink all’esterno del lato sud-orientale del vano absidato  hanno evidenziato la presenza di un piccolo magazzino di dolii di grandi dimensioni di supporto ai servizi legati alla “casa delle tessitrici”.

Schizzo ricostruttivo della “Casa delle Tessitrici” (da Kleibrink 2010 p. 72, fig. 86b).

V.c –  Tempio V fase FM 4   (725 – 650)

Intorno alla fine del sec. VIII a.C l’acropoli fu interessata da notevoli cambiamenti che videro in quest’area lo smantellamento della capanna in legno della “Casa delle Tessitrici” e la costruzione, con pressoché le medesime proporzioni, di un tempio in muratura di forma rettangolare. Il tempio V.c presenta un orientamento E-O con l’ingresso su entrambi i lati brevi. Esso presenta elementi di entrambe le culture enotria e greca, in cui alle caratteristiche proprie dei templi greci con una divisione in un portico sulla facciata (pronaos), una cella ampia di forma rettangolare (naos) ed un altro portico sul retro, si affiancano tecniche indigene italiche nell’uso di pali disposti a intervalli regolari dentro buche scavate nella roccia. I pali risultano più piccoli e ravvicinati sui lati corti e più robusti su quelli lunghi. Questi pali segnano il margine di pareti realizzate con una zoccolatura in muratura con piccoli blocchi di pietra sbozzati ed un alzato in mattoni crudi, mentre il tetto si presentava a spiovente sui lati lunghi con appoggi individuabili centralmente e lungo le divisioni interne. In questa fase l’altare risulta ancora presente ed in uso all’interno della cella, per cui è probabile che il tetto fosse in parte lasciato aperto. L’uso di offrire ricchi doni e la consuetudine di aspetti conviviali, sia greci che indigeni, nell’area del tempio, è attestata dai ritrovamenti di oggetti di pregio. La ceramica del Tempio Vc comprende soprattutto recipienti per bere in parte di importazione e in parte di produzione locale. Questi, non potendo essere riusati, rimanevano nel tempio dove insieme a vasi biconici ed attingitoi indigeni sono stati rinvenuti tantissimi piatti, coppe con anse alte diametralmente opposte (kantharoi) e ceramiche d’importazione tra cui spicca una pixis attribuita al pittore di Francavilla con una scena di processione festosa dinanzi una dea in trono. Molto interessanti per la conferma del legame culturale che unisce la “casa delle Tessitrici” (V b) ed il tempio greco italico (V c), sono i ritrovamenti di imitazioni di cestini per la lana in ceramica miniaturistica (kalathiskoi). Inoltre la presenza tra i doni votivi di fuseruole, lekythoi (brocche per l’olio), come pure aryballoi e alabastra (vasetti per la cosmesi), insieme con i gioielli consacrati, indicano che la divinità era una figura femminile.

Pianta delle buche di palo dei templi I, III, V e della ricostruzione dei templi sull’acropoli (da Kleibrink 2010 p. 72, fig. 86b).
Pianta delle buche di palo del tempio Vc (da Kleibrink 2010 p. 94, fig. 123a). 710-650 a.C. edificio Vc

V.d – Tempio V fase 5   (650– 600 a.C.)

Verso la metà del sec. VII a.C. il tempio Vc venne demolito ed i resti in parte gettati lungo il margine meridionale del terrazzo dell’acropoli per riempire i vuoti (colmata sud). Questo strato di materiali vari venne poi ricoperto da terreno giallino relativo forse ai mattoni crudi delle pareti del precedente tempio b, nel quale vennero anche adagiate delle offerte votive che attestano il legame culturale e religioso con il tempio precedente da parte della popolazione locale. L’area su cui sorse il tempio d venne regolarizzata con il riempimento delle buche di palo e il terrazzamento dell’area sacra con la medesima terra giallina rinvenuta sopra la colmata. Il tempio presentava la medesima pianta di quello precedente sebbene un pò più lungo sul lato orientale. Le pareti esterne erano realizzate in muratura ed inserite in fosse scavate nel calcare naturale, mentre gli spazi interni ed il tetto erano sostenuti da pali in legno. In questo periodo l’altare interno non veniva più utilizzato. La seconda metà del VII sec. a.C. segna il periodo di massima fioritura del santuario di cui sono attestazione i numerosi rinvenimenti di ceramica d’importazione, i pinakes con la cosiddetta “dama di Sibari”,  le statuette votive e soprattutto le tantissime hydriskai ed i kernoi (anelli di ceramica con sovrapposti dei vasetti colmi d’acqua) che documentano i pellegrinaggi di fedeli in uno dei santuari più importanti della Sibaritide.  La continuazione del battuto giallo verso est ha fatto presumere l’esistenza di un altare davanti all’ingresso del Tempio Vd cui si appoggiava anche un tratto del muro (temenos) realizzato con blocchi di conglomerato roccioso che cingeva il tempio sul lato meridionale.  Da quest’area, sebbene interessata da scavi clandestini, sono emersi vari importanti rinvenimenti tra cui una barchetta sarda nuragica in bronzo, varie scarabei egizi in pasta vitrea ed alcuni frammenti ceramici appartenenti a vasi trafugati e poi restituiti al Museo nazionale della Sibaritide.  Il tempio D venne dismesso probabilmente intorno alla fine del VII sec. a.C. epoca a cui si datano i più recenti depositi votivi qui rinvenuti.

Pianta dei templi sull’acropoli – le trincee blu appartengono alle fondazioni del sec. VII (da Kleibrink 2010 p. 103, fig. 136).

V.e – Tempio V fase 6  (600 – 500 a.C.)

Nel VI secolo sopra uno strato spesso di ghiaia (fino a 2 metri ) rimossa dal pendio sud dell’Acropoli con cui era stata ricoperta l’area su cui sorgeva il tempio D, venne realizzato un nuovo tempio (V e) di cui purtroppo sono stati trovati pochi elementi delle fondamenta, un gran numero di tegole del tetto ed alcuni depositi votivi scavati nella ghiaia, mentre il resto è stato asportato, probabilmente durante la costruzione della cappella bizantina. La mancanza di tracce di distruzione ha fatto escludere al Mertens la possibilità che il tempio fosse stato disattivato al tempo della distruzione di Sybaris come ipotizzato dalla Stoop, datandone la costruzione nel pieno secolo VI a.C.  La fortificazione del santuario con un poderoso muro che circonda la cima dell’Acropoli fa pensare ad un cambiamento di carattere del santuario. Terrecotte provenienti dal santuario ci mostrano, in questo periodo, la dea Atena in atteggiamento aggressivo. Altre terrecotte che raffigurano i devoti con pezze di stoffa fanno vedere, però, che il culto della dea era ancora in relazione con la tessitura.

Nel V secolo a.C. l’Athenaion era ancora in uso, e in questa fase vi si praticava anche il culto di Pan e delle Ninfe. Il santuario fu devastato, probabilmente, nel IV secolo, durante la rivolta dei Brettii. Nel X secolo sopra il Tempio V fu costruita una cappella bizantina.

Edificio V d &00 – 500 a.C. (da Kleibrink 2010 p. 115, fig. 155).
Edificio V – piano roccioso con le buche di palo dei templi (foto Kleibrink da Lagariaonlus.it)
Edificio V – scavi archeologici 2003 (foto Kleibrink da Lagariaonlus.it)
Foto DIR 2017-2018 G. Mittica